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martedì 28 febbraio 2012

Body Art: Narcisi post-umano


Si definisce Body Art “un movimento e fenomeno artistico degli anni 1960 – 1970 in cui il corpo dell’artista diventa esso stesso strumento espressivo grazie a gesti e azioni dimostrative da questo compiute” (Il Nuovo Zingarelli, 1988). Nella Body-art e in tutte le performance il sesso, la malattia, i desideri, le oppressioni, il dolore, la nevrosi, agiscono sui corpi lasciandovi i suoi segni: marchi, supplizi, costrizioni, discipline, cure, diete, regole, divieti e trasgressioni, strutturandoli in quello che lo stesso Foucault definisce il “carnaio di segni” (Francesca Alfano Miglietti, pag, 15). La Body-art non nasce dal niente, si può pensare ad una sua discendenza dal Futurismo di Tommaso Marinetti, che pubblicò il 20 febbraio del 1909, sul Le Figaro, il suo manifesto che attaccava tutte i valori stabiliti dalle Accademie di pittura e letteratura. Per la Performance Art la sua data di nascita è l’11 dicembre 1898, quando il poeta Alfred Jarry presentò nel Théatre de l’Oeuvre de Lugné-Poe, Ubu Roi (Goldberg RoseLee, 1979). Ma le tematiche della Body Art, come pensiero creativo, si possono intravedere, tra l’altro, nell’esperienza di Kandinskij, Klee e Mondrian che si proponevano di lacerare il velo, frapposto dall’apparenza sensibile, per giungere a una più alta verità, come pure tra i pittori surrealisti che aspiravano alla (Gombrich, 1999) La stessa psicologia e la psicoanalisi hanno influenzato i surrealisti ed hanno fatto sorgere interessi che hanno indubbiamente portato sia gli artisti che il loro pubblico a esplorare zone della psiche umana considerate in precedenza con ripugnanza o come tabù (Gombrich, 1999). E’ per tutti evidente che l’immagine domina la comunicazione nella nostra epoca, la Body Art nasce, come sottolinea W. J. T. Mitchell (citato da Maria Giuseppina Di Monte) in una cultura che ha visto tutto, dalla presenza della fotografia, dei film, della televisione e dei computers forniti di grafici, giochi, word-processing, banca dati, calcolo, non v’è dubbio che la polarità “pittura versus poesia” appaia sorpassata e che si preferiscano termini più neutrali come “testo versus immagine” (1986, pag. 50)
Per la storica dell’arte Lea Vergine (2000), nella Body Art, ci sono dei caratteri che fanno da comune denominatore a questa maniera di far arte, come: la perdita d’identità, il rifiuto del prevalere del senso della realtà sulla sfera emozionale. L’intento di questi artisti è sbloccare le forze produttive dell’inconscio, ci troviamo di fronte a manifestazione di voyeurismo ed esibizionismo, tra tendenze sadiche e piacere masochistico, tra fantasie distruttive e catartiche.
La Body Art per T. Macrì (1996) si caratterizza quale proprietà analitica del corpo assunto come mezzo di espressione artistica: l’azione sottolinea le funzioni di esso e delle sue parti, servendosi di mezzi di riproduzione meccanica nell’intervento duplice di documentazione e di indagine penetrante (citato da Marco Refe, 2000).
E’ in questo contesto che il corpo comincia ad essere considerato secondo modalità che ne rifiutano la tradizionale funzionalità: Il corpo oltraggiato dalle lamette di G. Pane, quello legato, graffiato e contratto di A. Rainer, per giungere fino alla teatralizzazione del sangue di H. Nitsch (Refe, 2000).
 
Per Refe, che definisce questi artisti "Narcisi post-umano", queste pratiche quali la scarificazione, l’automutilazione,  non sono altro che le ultime grida di un soggetto oramai incapace di dare senso alla propria esistenza.
Per Betti Marenko (2002), queste pratiche funzionano come agenti di comunicazione tra mondi, passaggio tra categorie e ridefinizione dell’individuo. Incontro tra sé collettivo e sé individuale.
Nella Body Art troviamo tracce del pensiero degli Espressionisti (Munch, 1905), dei Cubisti, artisti che scomponevano l’oggetto. Ma anche influssi della Pittura astratta, della Pittura metafisica, dei Dadaisti e del Surrealismo, che voleva “creare qualcosa che fosse più reale della stessa realtà” (Gombrich, 1999).
Il corpo, nella Body Art, deve diventare antiestetico, repellente e penoso e deve spaventare ed anche irritare; deve portare alle estreme conseguenze quella che era anche l’idea dei surrealisti che sostenevano che l’arte non è il prodotto della ragione pienamente desta. Per i Surrealisti ciò che è irrazionale è arte, per loro bisogna fare emergere la parte selvaggia, arcaica della personalità.
Per Angela Vettese, la Body Art è il genere di opere nate nel dopoguerra, spesso smaterializzate, estese nello spazio fino ad occupare ambienti interi, a volte programmaticamente destinate a deperire nel tempo (pag. 10) Inoltre il progressivo distaccarsi delle opere dal loro aspetto meramente visivo per concentrarsi sugli elementi mentali, ha fatto sì che i testi scritti si rendessero sempre più necessari come veicolo di introduzione e spiegazione.
In conclusione la Body Art e la Performance Art sono prodotti del periodo storico definito , nato negli anni 1960, quando comparvero e si svilupparono una serie di nuove pratiche culturali in ambiti disciplinari specifici (architettura, arti figurative, letteratura, teatro, filosofia ecc.) e vi furono mutati assetti della società postindustriale. Il postmoderno marca l’esistenza di atteggiamenti o di modi d’essere (sociali, esistenziali e intellettuali) diversi o alternativi rispetto a quelli tipici della modernità. Il postmoderno rappresenta per Ihab Hassan il tempo dell’indeterminazione, della frammentazione, della decanonizzazione, della vacanza del Sé tradizionale, dell’impresentificabile, della performance che nell’arte trasgredisce i generi, si apre allo sconosciuto (G. Fornero, 2006). In quegli anni dalla Performance Art nasceva la Body Art. Per Performance Art si intende qualsiasi situazione che coinvolge quattro elementi base: tempo, spazio, il corpo dell'artista e la relazione tra artista e pubblico; in contrapposizione a pittura e scultura.

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